mercoledì 25 novembre 2009

Il settimo sigillo (1957)

Visto che il mio è fondamentalmente un blog stupido e senza alcuna pretesa (i più attenti lettori vedranno che tra le mie righe non si usa quasi mai un linguaggio riservato agli addetti ai lavori, né tantomeno cerco di lanciarmi in dissertazioni filosofico – cinematografiche…) mi vergogno da matti quando arriva il momento di parlare di qualche caposaldo. Con The Addiction di Abel Ferrara avevo fatto quello che potevo, ma uno degli ultimi film che ho visto è davvero un capolavoro: Il settimo sigillo (Det sjude inseglet), diretto nel 1957 dal grande regista svedese Ingmar Bergman. Visto che è già stato detto il dicibile su questo film, vediamo di essere assai semplici e dire semplicemente perché mi è piaciuto!


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Partiamo con la trama: di ritorno dalle Crociate il cavaliere Antonius Block viene raggiunto dalla Morte. Desideroso di continuare a vivere, almeno per un po’, la sfida ad una partita a scacchi: se riuscirà a batterla, rimarrà in vita, altrimenti dovrà necessariamente seguirla. Nel tempo che gli rimane, tra una mossa e l’altra, il Cavaliere vaga per un mondo afflitto dalla peste assieme al suo cinico scudiero Jons, incontrando molti altri strani personaggi…


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Come ho promesso, la farò più breve e semplice possibile, perché il mio scopo è convincere la gente a vederlo questo film. Non tanto perché è un caposaldo. Questa è la bufala dietro alla quale si nascondono quelli che si fanno del male per vedere cose tipo La corazzata Potiemkin magnificandone le lodi quando magari avrebbero interrotto la visione alla seconda scena. Bugia bugia bugia. Il settimo sigillo, invece, è davvero bello. In primis, anche se la formula  “film in bianco e nero + film di Bergman = orchite” è assurdamente radicata nella mente dei più, la pellicola in questione è godibilissima, scorrevole e per nulla pesante. La storia è semplice ed universale, che più non si può: in un’epoca buia e dominata dalla Fede, un Cavaliere che dovrebbe combattere per essa la perde, e vuole cercare risposte prima di sprecare quel po’ di vita che gli rimane. La Morte incombe, in ogni fotogramma, incarnata da superstizione, violenza, ignoranza, peste, ognuna, a modo loro, una piaga, una malattia sociale. In mezzo a tutta questa bruttura, ci si appiglia a quel che si può per fuggire alla Morte, e se quello a cui credevamo viene meno rimane solo il vuoto, che dobbiamo riempire per non impazzire: E’ quello che fa il Cavaliere, privo di Fede, che ritrova una ragione per andare avanti prima nella paura di morire per nulla, e poi nel desiderio di combattere non per un Dio che potrebbe anche non esserci, ma per la felicità di una semplice Famiglia di attori, che vivono alla giornata, nutrendosi dell’amore reciproco, qualcosa che al Cavaliere da troppo tempo manca.


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Sembrano concetti “pesanti”, per così dire, ma sono messi in scena con molta leggerezza, creando anche siparietti divertenti. La Morte è molto seria, è vero, ma non disdegna qualche scherzo macabro. La figura del cinico scudiero è meravigliosa, ed eclissa di molto quella del Cavaliere, triste e cupo, perso nei suoi cogitabondi pensieri. La famiglia di attori è deliziosa ma non stucchevole, e le scenette tra il Capocomico, il Fabbro e la moglie di quest’ultimo sono esilaranti, decisamente non ciò che ci si aspetterebbe da un film di Bergman. Anche i dialoghi sono facilmente comprensibili e colmi di un’ironia che a volte è amara, altre è sentita, ma che comunque rimane sempre molto attuale, anche se il film è ambientato nel Medioevo. Alla bellezza del film concorrono ovviamente la bravura degli attori, su cui svettano Gunnar Bjornstrand e Bibi Andersson, e l’abilità del regista, che riesce a creare immagini macabre ed affascinanti come quella dei flagellanti che invadono la piazza, della strega bruciata sul rogo, e della Totentanz finale, che è entrata di diritto nella Storia del Cinema, quello con la C maiuscola. Guardatelo, e non ve ne pentirete. Io l’ho fatto per ben due volte e lo rifarò molte altre, spero.


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Ingmar Bergman è il regista del film, universalmente conosciuto come uno dei più bravi e profondi autori in assoluto. Grazie ad un monografico per l’esame di Storia del Cinema ho avuto l’opportunità di vedere parecchi suoi film, e anche se alcuni sono davvero degli orridi mattoni, come Come in uno specchio, Luci d’inverno, Sussurri e grida e L’uovo del serpente, altri sono splendidi e gradevolissimi, come Sorrisi di una notte d’estate, Il posto delle fragole e Fanny & Alexander. Basta provare senza pregiudizi. L’autore svedese è morto nel 2007, all’età di 89 anni e, scandalosamente, pur essendo stato nominato per ben 9 volte agli Oscar, non ne ha mai vinto uno.


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Max von Sydow interpreta il Cavaliere Antonius Block. Versatilissimo attore svedese, stretto collaboratore di Bergman, è diventato universalmente conosciuto, tanto da venire utilizzato anche in conosciutissime produzioni USA come l’Esorcista, dove interpreta padre Merrin, ed italiane. Tra i suoi film ricordo Il posto delle fragole, Il volto, La fontana della vergine, Come in uno specchio, Luci d’inverno, Il deserto dei tartari, L’Esorcista II: l’eretico, Flash Gordon, Conan il barbaro, Agente 007 Mai dire mai, Dune, Risvegli, il kingiano Cose Preziose, Dredd – La legge sono io, Al di là dei sogni, l’orrendo ed argentiano Non ho sonno, Minority Report, Rush Hour: missione Parigi. Scopro ora che in originale dava anche la voce al geniale Vigo il Carpatico apparso in Ghostbusters II. Basta questo per renderlo un mito. Per la TV ha partecipato ad episodi de Il giovane Indiana Jones e alla megasaga I Tudors. Ha 80 anni e tre film in uscita.


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Gunnar Bjornstrand interpreta lo Scudiero Jons. L’attore svedese è diventato il mito mio e di Toto durante la partecipazione al suddetto monografico di Storia del Cinema, visto che compariva praticamente in ogni film di Bergman, tra cui Come in uno specchio, Luci d’inverno, Sussurri e grida, Sorrisi di una notte d’estate, Il posto delle fragole e Fanny & Alexander. E’ morto nel 1986, all’età di 77 anni.


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Ora, probabilmente Bergman si rivolterà nella tomba... ma io non posso farne a meno, AMO questi del Nido del Cuculo!! Beccatevi il doppiaggio di una scena clù! ENJOY!!




lunedì 23 novembre 2009

L'uomo che fissa le capre (2009)

Siccome l’ultimo film che sono andata a vedere al cinema è stato il meraviglioso Inglorious Basterds di Tarantino, mi sono impuntata questo weekend e mi ci sono fatta portare. Poche le alternative, ammorbate anche dall’orrido New Moon, e così siamo finiti a vedere L’uomo che fissa le capre (The Men Who Stare at Goats), commedia diretta da Grant Heslov. Che dire, al solito, di questi tempi, il trailer è meglio del film.


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La trama: il giornalista di provincia Bob Wilton, dopo essere stato mollato dalla moglie, decide di partire per l’Iraq e fare un reportage della guerra in corso. Lì incontra Lynn Cassady, un “supersoldato” americano, reduce di un programma atto a sviluppare i poteri psichici per combattere guerre alternative e pacifiche, senza spargimento di sangue. Uno Jedi, insomma. Provato dal lato oscuro della forza, e richiamato per una missione segreta che gli possa consentire di espiare l’omicidio di una… capra.


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L’uomo che fissa le capre è un film atipico. Viene presentato come una commedia demenziale, virata su toni grotteschi. E’ quello che è, in effetti, ma c’è di più. Non si può ascrivere ad un genere, vista la vena nostalgica e un po’ malinconica che lo pervade, e i troppi momenti di serietà realistica. Potrebbe essere paragonato a M.A.S.H. di Altman, ma un film come quello è inarrivabile e comunque mantiene la sua coerenza dall’inizio alla fine. Potrebbe essere paragonato ad un film dei Coen, ma anche lì manca l’impronta dei due fratellini, quel “non so che” in grado di rendere ogni loro pellicola una piccola perla, che sia un capolavoro come Fargo o un divertissement come Burn After Reading. In definitiva, mancano un po’ troppe cose, ed il film lascia il tempo che trova, scivolando come acqua sullo spettatore.


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Secondo me, la debolezza del film sta nel distacco netto tra la storia narrata al presente ed i flashback che la costellano. Il viaggio di Lynn e Bob è una sorta di percorso iniziatico per quest’ultimo, e se l’inizio, con trovate come Clooney che cerca di disintegrare le nuvole con lo sguardo, e l’insegnamento delle tecniche “jedi” al povero giornalista, è godibile e cattura l’interesse, alla lunga stanca, e si trascina in un finale decisamente abusato, con generose dosi di LSD a fare da paciere tra depressioni e uomini sconfitti ed abbruttiti dai fallimenti passati. I flashback invece sono molto divertenti, ed è esilarante vedere come si è costituito e com’è morto il gruppo delle forze speciali psichiche USA: la scena che da il titolo al film, quella in cui Clooney uccide una capra fissandola, è geniale, ma anche le lezioni di ballo o l’esperimento fallito del bieco personaggio interpretato da Kevin Spacey sono carine. Però, è questo il problema. Il film è semplicemente “carino”, piacevole, nulla più. Tra l’altro anche la satira è poco graffiante, l’unico episodio degno di nota è quello della sparatoria che viene iniziata da guerrafondai americani solo per una marmitta che scoppia; “Abbiamo risposto ai colpi di pistola sparati da sconosciuti”, titoleranno i giornali. Non molto distante dalla realtà.


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Al di là di una meravigliosa colonna sonora, veramente poco è degno di essere ricordato. Anche gli interpreti sono davvero sottotono. Clooney è abbruttito al massimo (tié, becchete questa, Canalis!) e sembra abbia fatto il film giusto per amicizia, senza divertirsi; Ewan McGregor sembra spaesato, anche se ci mette tutta la sua buona volontà e, per questo, spicca tra gli altri interpreti; due vecchi leoni come Jeff Bridges e Kevin Spacey sono decisamente sprecati, anche se i loro personaggi, un Obi Wan e un Darth Vader dell’esercito, sono sicuramente i migliori del film. Che dire, in definitiva non mi sento di non consigliarlo, perché è comunque meglio di altra fuffa che sta invadendo i nostri cinema (ogni riferimento a New Moon è puramente casuale…), e anche perché secondo me porterebbe a molte interessanti disquisizioni tra amici. Però non aspettatevi troppo.


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Di George Clooney ho già parlato qui; Ewan McGregor lo trovate qui, a fare il Camerlèngo.
 
Grant Heslov è il regista del film. L’artista americano è diventato famoso come sceneggiatore del film Good Night and Good Luck, nominato all’Oscar nel 2005 proprio per la sceneggiatura. Ha 46 anni.


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Kevin Spacey interpreta il seguace del lato oscuro della forza, Larry Hooper. Uno dei miei attori preferiti senza alcun dubbio, anche se negli ultimi tempi pare essere un po’ scomparso dalle scene, sepolto in indegni filmetti come  Superman Returns, l’attore americano ha vinto ben due Oscar: uno come migliore attore non protagonista per lo splendido I soliti sospetti, e uno come protagonista per l’altrettanto meraviglioso American Beauty. Tra le altre pellicole ricordo Affari di cuore, Una donna in carriera, Non guardarmi: non ti sento, Americani, Virus letale, Se7en, gli splendidi L.A. Confidential e Mezzanotte nel giardino del bene e del male, Il negoziatore, Bugie, baci, bambole e bastardi, The Big Kahuna, il tristissimo Un sogno per il domani, The Shipping News, Austin Powers in Goldmember (come Dottor Male!!!). Come doppiatore, ha lavorato in A Bug’s Life – Megaminimondo. Ha 50 anni e due film in uscita.


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Jeff Bridges interpreta il guru Bill Django. Altro ottimo attore, nominato più volte per il premio Oscar, lo ricordo per film come  King Kong (il remake del 1976, ovviamente), I cancelli del cielo, Starman, La leggenda del re pescatore, The Vanishing – Scomparsa, Il grande Lebowski, Arlington Road – L’inganno, l’orrido Seabiscuit ed infine Iron Man. Ha 60 anni e due film in uscita.


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Una curiosità per i Lost addicted: la moglie di Ewan McGregor è interpretata dalla rossa e sfortunata Charlotte dell’ultima stagione di Lost. Ecco dove l’avevo già vista e stravista. E ora vi lascio con il trailer originale… ENJOY!!
 




giovedì 19 novembre 2009

Il Bollalmanacco on the road: LISBONA

Dopo Santorini, il Bollalmanacco On The Road approda a Lisbona, dove sarò il prossimo weekend. Parlare di film ambientati a Lisbona significa parlare di una filmografia sterminata ma, ahimé, a me sconosciuta o quasi, ovvero quella portoghese.
Un cinema particolare e soprattutto “d’autore” quello Portoghese, almeno quello che viene esportato nei festival o nei cinema d’essai e quindi viene conosciuto al grande pubblico, ma anche un cinema ricco di documentari, scorci di vita vissuti, temi importanti come la religione, il sesso, la politica.


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La figura cardine del cinema Portoghese è senza dubbio il regista Manoel de Oliveira, nato nel 1908, tuttora vivente ed attivo, nonostante diriga, produca e scriva film sin dagli anni ’30. Devo di nuovo ammettere che la sua opera mi è completamente ignota anche se la gran parte dei suoi film sono arrivati in Italia. Le sue pellicole trattano temi universali e “conflittuali”: vita contro morte, santità contro peccato, bene contro male, il tutto condito dall’annoso tema della solitudine umana. Pesantino, mi verrebbe da dire, ma non è detto che un giorno non mi possa mettere a guardare qualche suo film. Tra i suoi film ambientati proprio a Lisbona segnalo Benilde o la vergine madre, dramma datato 1975, dove una ragazza rimane “inspiegabilmente “ incinta e cerca di convincere la famiglia tutta di essere una novella vergine Maria, appunto; La Divina Commedia (1991), film ambientato in un manicomio dove i pazienti si credono personaggi storici, letterari e religiosi; la commedia A Caixa (La scatola), del 1994, storia di un mendicante cieco che nasconde tutti i suoi risparmi in una cassetta nera mentre i vicini, vedenti e pigri, invece di cercare lavoro passano le giornate cercando di capire come fare a rubargliela; Inquietudine (1998), film composto da tre episodi uniti da un fil rouge legato alla morte e all’eternità.


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Tra i film girati invece sempre a Lisbona ma da altri autori, cito un classico trash/horror come Le Tombe dei resuscitati ciechi, diretto nel 1971 dallo spagnolo Amando de Ossorio. Meravigliosa la trama, dove un gruppo di Templari dediti alla magia nera vengono uccisi e lasciati ai corvi, che si cibano dei loro occhi. Ai giorni nostri poi un gruppetto di studentelli si ritrova proprio nel luogo dove sono stati sepolti i cadaveri, ed ecco che comincia lo zombie – movie. Donnine discinte, vampirismo, zombie e finale aperto a tre seguiti sono i tre elementi chiave di questo film.


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Restando sempre in tema horror, nel 1999 Roman Polanski ambientava gran parte del suo La nona porta nella città portoghese. Pasticciaccio confuso di cui ricordo assai poco, tratto dal romanzo Il Club Dumas del bravo Arturo Perez – Reverte. L’unica nota positiva del film è la presenza di Johnny Depp che però non si impegna  troppo, visto che il suo personaggio è perso in un’intricata storia di libri esoterici e porte infernali. Se dovessi fare un sunto preciso, non ne sarei in grado, così come credo di non ricordare un singolo fotogramma della pellicola, tanto meno il finale. Peccato, peccato.


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Famosissimo (anche se io non l’ho mai visto) è Lisbon Story di Wim Wenders, del 1994. In esso un regista cerca di portare a termine la realizzazione di un film su Lisbona, appunto, ma inutilmente. Solo l’arrivo del tecnico del suono, che rimane affascinato dalla città, lo convincerà a tornare sui suoi passi e a realizzare il film. Conoscendo Wenders, regista tedesco autore di raffinati “mattoni” come Il cielo sopra Berlino e The Million Dollar Hotel, non sarà una passeggiata di pellicola, ma senza dubbio sarà assai suggestiva. Probabilmente dopo essere stata a Lisbona mi verrà voglia di provare a vederla, chissà.


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Nel 1996 anche noi italiani siamo approdati nella città Portoghese, dove è stato girato parte del film Sostiene Pereira di Roberto Faenza, tratto dall’omonimo romanzo di Tabucchi, storia di un giornalista che, nel pieno regime di Salazar, comincia ad aprire gli occhi sulla realtà politica che lo circonda. Non l’ho mai visto, come nessuno dei film citati qui d’altronde, ma ha un cast di tutto rispetto, nel quale spiccano Marcello Mastroianni (in una delle sue ultime apparizioni, visto che è morto nello stesso anno, ahimé…) e Joaquim De Almeida, uno dei più famosi attori portoghesi, che io ricordo per aver partecipato anche allo splendido 24. Altri interpreti sono Daniel Auteuil, Nicoletta Braschi (bleah…) e Stefano Dionisi.


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Insomma, ridendo e scherzando sto per andare in un posto che trasuda amore per il cinema da ogni angolo, e non posso che esserne contenta, in effetti! In attesa di scoprire quali prodezze cinematografiche potrà regalarmi Strasburgo… rimaniamo legati al trash iberico, col trailer "urlato" de La notte dei resuscitati ciechi! ENJOY!


 




sabato 14 novembre 2009

A cena col Vampiro (1988)

Va bene, ce l’ho fatta. Questo blog stava rischiando di diventare un monotematico su Lamberto Bava, ma sono arrivata alla fine del cofanetto e mi sono sorbita anche A cena col vampiro, del 1988. Alla fine ho detto: mai più, perché indulgere in questa inutile tortura? Lamberto, io e te non ci incontreremo più se non per caso o per qualche nostalgica replica di Fantaghirò, te lo posso giurare.


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La trama: quattro attori dilettanti vengono scelti dopo un provino per recitare in un film del famosissimo regista Jurek, ed invitati a cena nella sua sontuosa magione. Lì scoprono che il regista in realtà è un vampiro millenario che vorrebbe venire ucciso da loro così da porre fine alla sua esistenza. Solo che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare…


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Un cultore del trash dovrebbe come minimo commuoversi davanti alla recitazione, ai dialoghi, alle squallidissime scenografie, agli zombie fatti con dei sacchetti di plastica messi in testa a povere comparse, all’inutilità di alcuni personaggi ecc. ecc. Potenzialmente quindi avrei dovuto innamorarmi di questo film. Ma non ce la faccio, perché sono anche una fedele adepta di ogni causa vampirica, e vedere la figura di un succhiasangue così bistrattata è per me una tortura. Cominciamo a sparare sulla croce rossa segnalando un errore talmente grossolano da far saltare subito all’occhio come il film sia stato sceneggiato coi piedi: Jurek viene sgamato in quanto Vampiro proprio perché non si riflette nello specchio. Peccato che per tutto il resto del film la sua figuretta sminchia si veda in ogni superficie riflettente e soprattutto che, a rigor di logica, non dovrebbe nemmeno poter venir ripreso. Eppure proprio in un film che lo vede solo attore protagonista (come scomodare il metacinema per dare un po’ di spessore a questa fuffa…) risiede il segreto per sconfiggerlo. E questa è solo la punta dell’iceberg.


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Se avrete la forza di superare le pietose scene dei provini all’inizio (e il modellino del castello dove svolazza un pipistrello di gomma appeso ad un filo, ovviamente…), arriverete al cuore della vicenda e alla delirante proposta di Jurek durante una cena: uccidetemi perché non ho più voglia di vivere ma occhio perché le regole dei Vampiri impongono che io ve lo impedisca. A parte che non s’è mai sentita una simile stronzata, se ti vuoi uccidere apri una finestra e levati da ammorbare il prossimo, ma non puoi anche bullarti di essere un millenario vampiro Mesopotamico morso all’età di 11 anni: dovresti avere come minimo l’aspetto di un bambino e non di un attempato gigolò che, a seconda dei momenti, diventa la fotocopia di Nosferatu. Ma d’altronde, la sfiga di questo Vampiro è quella di avere anche dei servitori del menga, che ovviamente portano al suicidio e alla psicosi: parlando di fotocopie, non si può non citare il servo identico all’Aigor di Frankenstein Junior (altrettanto pasticcione e infamino), ma alla cricca si aggiungono anche un non meglio precisato assistente umano, spocchioso come pochi e incerto se parteggiare per gli umani o per il padrone, e una vajassa sguaiata e ridanciana, senza nome, dal dubbio gusto per la moda e, anche lei, incerta se essere vampira (ma allora perché alla fine lei non schiatta come tutti gli altri mostri dopo la scomparsa di Jurek?) o umana. Altro fatto che denota la furbizia del vampiro è l’aver scelto quattro dementi come sicari. Se l’unico uomo del gruppo infatti è vivace, a suo modo simpatico, e anche dotato di pelo sullo stomaco, le tre sgallettate che lo accompagnano stanno lì solo a far la figura delle guardiane delle oche: una passa per l’intellettuale della compagnia ma gratta gratta non fa nulla di nulla, l’altra passa per essere la più zoccolona delle tre, ma si limita a svenire alla vista di un film in bianco e nero, mentre la più “ragazzina” è in realtà la più sciacquetta e l’unica che soccomberebbe volentieri alle voglie del vampiro. Le tre assieme vagano per il film seguendo il maschio del branco urlando e litigando, senza dubbio molto utili ad uno che si ritrova a combattere contro un vampiro a colpi di battutine, ragni di gomma ed altre simili amenità.


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Come ho detto, gli attori sono tutti pessimi a parte un paio. Il vecchio leone George Hilton gigioneggia dall’inizio alla fine e risulta persino simpatico, Riccardo Rossi ci mette del suo e dà vita ad un personaggio se non buono almeno verosimile e “vivo”, gli altri interpreti invece risultano N/C, come a scuola, non classificati. Gli effetti speciali sono abbastanza inguardabili e caserecci, con abbondanza di pupazzi poco realistici, però il trucco incartapecorito di Jurek non è male, così come è fatto assai bene il “film nel film”, la pellicola in bianco e nero che guardano i protagonisti, un horror gotico dal sapore nostalgico. La scenografie, al limite del kitsch, sono sicuramente state riutilizzate anche in Una notte al cimitero, perché le catacombe sono identiche. A cena col vampiro abbonda di citazioni: al di là di Frankenstein Junior, ci sono rimandi a Nosferatu, a Nightmare (“una volta ho visto un film dove le persone sognavano di morire, e poi lo facevano veramente”) e in una videocassetta usata come “arma impropria” si legge il titolo dello splendido film di Roman Polanski, Per favore non mordermi sul collo. Un piccolo appunto: se in Una notte al cimitero lo zombie palpava la zomba e rimediava un ceffone, anche qui il vampiro si lancia in una scena di palpeggio me, in quanto vampiro, pur se incartapecorito, sortisce effetti un po’ diversi: una sorta di “continuità della tetta palpata” in questa serie di film? Non me ne stupirei… Evitatelo, gente, evitatelo come la peste.


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Di Lamberto Bava ho già parlato qui e qui, Yvonne Sciò, che interpreta una delle tre sciacquette, la trovate qui.


George Hilton interpreta Jurek. L’attore non ha nessuna parentela con la mia amica Paris, visto che è Uruguayano e il suo vero nome è Jorge Hill Acosta y Lara, e in Italia costui si è affermato come caratterista per piccole perle trash del passato come Due mafiosi contro Goldginger e per capisaldi dei cupissimi gialli all’italiana come Lo strano vizio della signora Wardh, La coda dello scorpione, Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer?, per poi declinare lentamente con roba tipo Abbronzantissimi 2 – Un anno dopo e Natale in Crociera. Per la TV ha lavorato nella famosissima (in Italia, ovvio) serie College. Ha 75 anni.


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Riccardo Rossi interpreta Gianni. Per la serie: dove ho già visto sta faccetta, l’attore romano era uno de I ragazzi della terza C, ha partecipato a parecchi programmi della RAI e anche ad alcune pubblicità (io mi ricordo la sua faccia in quella della Ferrarelle..). Tra i suoi film ricordo Grandi magazzini, l’orrido Piccolo grande amore accompagnato dall’indegno S.P.Q.R. e l’improponibile Scusa ma ti chiamo amore. Per la TV ha anche lui lavorato nella serie College, poi Don Matteo e Tutti pazzi per amore. Ha inoltre doppiato episodi di Barbapapà e Jeeg robot d’acciaio. Ha 46 anni.


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Patrizia Pellegrino interpreta Rita. La carriera cinematografica di costei è praticamente inesistente, ma diciamo che, come futura protagonista de L’isola dei famosi, può giustamente essere considerata la punta di diamante trash di tutto il film. Ha partecipato ad un episodio di Don Matteo ma ora lavora soprattutto per il teatro. Ha 47 anni.


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Isabel Russinova interpreta la mezza umana/mezza vampira che non smette un attimo di ridere. Lungi dall’essere russa o che, la nostrana Maria Isabella Cociani ha recitato in film come Tex e il signore degli abissi, Momo, Rimini, Rimini – Un anno dopo (giusto a voler confermare la sua bravura, eh..), il geniale Il commissario Lo Gatto e I miei primi quarant’anni. Ha 51 anni e un film in uscita.


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Valeria Milillo interpreta Sasha. Attrice milanese, ha partecipato soprattutto a produzioni televisive come Il commissario Montalbano, Distretto di polizia e il recente L’onore e il rispetto. Tra i suoi film ricordo il già citato Il commissario Lo Gatto e Uomo d’acqua dolce. Ha 43 anni.


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Vi lascio ora con il trailer del DVD USA... che contiene anche la pregevole colonna sonora "spagnoleggiante", unico pregio del film. ENJOY!


venerdì 6 novembre 2009

Una notte al cimitero (1987)

Tempi di suine e di malanni, tempi in cui ci si ritrova a vedere un po’ il fondo della propria collezione di DVD. Che, guarda caso, è arrivata ad un cofanetto di Lamberto Bava per cui, dopo Ghost Son, mi è toccato spararmi Una notte al cimitero, filmetto prodotto da Rete Italia (ergo televisivo, ergo scadente…) e diretto dal nostro nel 1987, come parte di un ciclo di quattro film che comprendeva anche La casa dell’orco, A cena col vampiro e Fino alla morte.

 


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La trama: cinque ladruncoli, dopo aver derubato un supermercato, fuggono in zone semi – paludose e si ritrovano appiedati a dormire nei ruderi di una chiesa costruita sopra delle catacombe. D’un tratto trovano anche una locanda con dei dubbi figuri che li sfidano a passare una notte nelle cripte per poter ottenere un favoloso tesoro che, si dice, risalga ai tempi di Giuda. Superfluo dire che nelle cripte troveranno di tutto di più..



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Sono costernata. Non so davvero da che parte cominciare a parlare del trash e della pochezza che trasudano da ogni fotogramma di questa pellicola. Il film è più o meno comprensibile ed accettabile finché non comincia a dipanarsi la trama, in fondo ci sono questi strepponcelli che si perdono nel bosco e decidono di dormire nel primo luogo che trovano, ovvero le rovine di una chiesa. E da qui comincia l’assurdità… Povere creature, ovvio che in mezzo alla nebbia non si accorgano dell’enorme PUB costruito sotto la chiesa stessa (sfidando ogni logica architettonica, devo dire), con tanto di insegna “Miller” luminosa all’esterno. Colpa della nebbia, ovviamente. Ma all’interno del pub non ce n’è quindi non vedo il motivo per cui della gente con un minimo di senno ci si dovrebbe fermare, e soprattutto perché dovrebbe stare ad ascoltare bufale tipo “Qui non si parla di lupi mannari!!” oppure “Qui non si scherza sulle scommesse!” detto ovviamente da esseri che a definirli umani si fa loro un complimento; ora, passi i “clienti”, che sono giusto un po’ bianchicci (però vestiti da contadini dell’’800…) ma l’oste è un mostro orrido con l’occhio sinistro che balugina di rosso, un incrocio tra Terminator e una creatura della Troma! Ma tutto passa in secondo piano di fronte all’oro! Aah, la meraviglia di possedere una boccia di vetro con dentro gioielli, monete e carte di credito… se è vero che quel cumulo di ricchezze risale ai tempi di Giuda, mi chiedo perché all’interno ci siano per la maggior parte American Express (utili eh, in un tesoro…) e dollari americani: pub e catacombe itineranti oppure semplicemente i turisti lì ci arrivano a frotte? E tanta è la paura una volta entrati nel vivo del film e della “sfida”: cadaveri semoventi talmente pietosi che verrebbe da abbracciarli, teste baffute (suore?) incastrate nei muri che si limitano ad aprire gli occhi, impiccati volanti, pozze colme di melma fumante ed ossa, e dulcis in fundus una famiglia di freaks ottocenteschi impegnati in una cena che scappano a gambe levate appena vedono i nostri.



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Scapperei anche io, povere creature, davanti ad una recitazione che non definirei imbarazzante, perché sarebbe un complimento. E’ ovvio che il doppiaggio italiano non rende, soprattutto quando i giovani attori recitano in inglese e vengono ridoppiati.Toglie loro naturalezza, e rimangono solo le espressioni facciali, che sono da dimenticare. L’unico che più o meno si salva è Tognazzi, che palesemente parla italiano e porta un po’ di brio con la sua parlata romanaccia, che pur non aiuta a far prendere il film più sul serio, intendiamoci. I personaggi in generale, al di là della capacità degli attori, sono però imbarazzanti, nemmeno dei clichè, ma proprio delle macchiette. C’è il “belloccio”, che a mio avviso è identico al Samvise del Signore degli Anelli, e che per enfatizzare questa sua “belloccità” dorme a torso nudo e fuori dal sacco a pelo mentre tutti gli altri ci si infilano con tanto di giacche. Lo vorrei vedere su a Bardineto, d’agosto, st’idiota… Ma tralasciando i lardominali scolpiti del nostro, ci sono anche le chicche della sensitiva improvvisata (una sciacquetta che nemmeno saprebbe fare due più due e che all’improvviso diventa la medium del gruppo..) e del locandiere “sinistro” che parte con la risata malefica a sproposito o alla fine di ogni battuta.



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E a proposito di “fine”. Il finale è una boiata pazzesca, ad un certo punto lo spettatore è incerto se i ragazzi siano o meno morti, ma il dubbio viene fugato e il film chiuso nel modo più assurdo possibile (com’è possibile uccidere quella che dovrebbe essere, a ragion veduta, la Morte stessa?). Il picco trash del film, oltre al furgoncino Ford ipertruccato e alla cena di mostri, è ovviamente lo zombie che si prende un ceffone dalla “zomba” che ha risvegliato palpandole il seno. Per quanto riguarda la regia, è piatta e televisiva, gli effetti speciali non sono malvagi nonostante tutto, ma il tasso di gore è praticamente inesistente, come quello di ansia ed inquietudine. Evitatelo se siete da soli (perché vi addormentereste come ho fatto io ad un certo punto…) ma guardatelo tranquilli in compagnia di amici che abbiano spirito un po’ goliardico e che non vi facciano volare fuori dalla finestra: vi divertirete, credo. (ma anche no). Una curiosità: il film viene distribuito anche all’estero, ma col titolo Graveyard Disturbance.



POSADERO


 

Di Lamberto Bava ho parlato qui mentre, fortunatamente, del manzo Gregory Lech Taddeus (il belloccio) si sono perse le tracce, e anche suoi compari hanno goduto di una gloria effimera: Karl Zinny (che interpreta David) ha sicuramente ottenuto il ruolo in questo ed altri film come Demoni in quanto figliastro di Remo Girone, Lea Martino si è persa nelle nebbie di pochi film e un telefilm mentre l'altra interprete, Beatrice Ring, ha girato Zombie 3 con Fulci.

 

Gianmarco Tognazzi interpreta Johnny. Figlio d’arte del grande ed indimenticato Ugo Tognazzi, si è destreggiato tra commedie, drammi moderni all’italiana e produzioni televisive senza mai emergere troppo. Tra i suoi film ricordo Vacanze in America, Sposerò Simon Le Bon, Ultrà, I laureati, Romanzo Criminale. Ha 42 anni e tre film in uscita tra cui l’ennesima rovina per il cinema italiano, il cinepanettone Natale a Beverly Hills. Ma un bel Natale tra le grinfie di Al Qaeda no?



gianmarco_tognazzi_2


 

 Vi lascio ora con il trailer inglese, le cui voci mi sembrano paradossalmente un pò  migliori! ENJOY!!

 

 

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